IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE NELLO STATUTO DELL'AVVOCATURA

I Consigli Distrettuali di Disciplina: per la credibilità, l'autonomia e l'indipendenza dell'Avvocatura


Per consentire all’Avvocatura di svolgere il ruolo essenziale ed insostituibile che le compete nella società e nella giurisdizione è indispensabile che il potere disciplinare sia esercitato con effettività ed efficacia, nel pieno rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, da organi e con un procedimento che garantiscono la piena autonomia ed indipendenza della stessa Avvocatura. 

A tal fine il procedimento disciplinare, entrato in vigore il 1° gennaio 2015, è previsto e regolato dalla
legge 247/2012 | Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, dal Regolamento del Consiglio Nazionale Forense 31 gennaio 2014, n. 1 | Elezione dei componenti dei Consigli distrettuali di disciplina e dal Regolamento del Consiglio Nazionale Forense 21 febbraio 2014, n. 2 | Procedimento disciplinare.

Il potere disciplinare appartiene ai Consigli Distrettuali di Disciplina (CDD), composti da membri eletti su base capitaria e democratica, con il rispetto della rappresentanza di genere di cui all'articolo 51 della Costituzione. Il numero complessivo di ciascun Consiglio Distrettuale è pari ad un terzo della somma dei componenti dei Consigli dell'Ordine di ogni distretto di Corte d’Appello.

Per comprendere appieno il valore, le garanzie e le opportunità assicurate dalla riforma con l’istituzione dei Consigli Distrettuali di Disciplina Forense basterà ricordare lo stato previgente la legge n. 247/2012. 

La normativa previgente, risalente ai regi decreti n. 1578 del 1933 e n. 37 del 1934, si era rivelata nel tempo inadeguata, anche rispetto alle nuove esigenze della professione, con il rischio concreto di recare anche discredito alla figura ed al ruolo dell’Avvocato. 
La concentrazione in capo ai singoli Consigli degli Ordini delle funzioni di impulso dell’azione disciplinare, di istruttoria e di decisione, con la contaminazione della fase requirente e decisoria, si poneva oramai in contrasto con i principi costituzionali, in primis con quello di terzietà del giudice, senza che l’argomentazione richiamata a difesa sulla natura amministrativa e non giurisdizionale del procedimento, pur pertinente da un punto di vista strettamente tecnico, potesse sostenerne validamente l’attualità, stante anche la tal volta verificata scarsa efficacia del procedimento.
In questo quadro e nell’ottica di liberalizzazione e valorizzazione della concorrenza con la quale il Governo a partire dall’estate 2011 decise di affrontare il tema delle professioni, intervennero prima il D.L. n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, con il quale si delineò, in quel momento solo a livello programmatico e senza riferirsi ad una delegificazione, il perimetro della riforma delle professioni regolamentate e fu prevista la costituzione di organi disciplinari separati dagli organi con funzioni amministrative, e quindi la legge di stabilità 2012 (l. n. 138/2011) disponendo che i principi fissati con il D.L. n. 138/2011 dovessero invece orientare il Governo in un’opera di vera e propria delegificazione degli ordinamenti professionali, senza alcuna eccezione per quello forense.
Seguì infine, in esecuzione di quanto così previsto, il DPR n. 137/2012 | Regolamento recante la riforma degli ordinamenti professionali, emanato a Stromboli il 7 agosto 2012 dal Presidente della Repubblica G. Napolitano su proposta del Ministro della Giustizia P. Severino, che detta norme in tema di accesso ed esercizio dell’attività professionale, concorrenza e pubblicità tirocinio, formazione continua e procedimenti disciplinari. 
Con una fonte normativa secondaria, quale il suddetto regolamento governativo emanato nella veste formale di DPR, furono così istituti - per tutte le professioni, solo escluse la professione sanitaria e quella di notaio - nuovi consigli di disciplina territoriali, formati anche da “componenti non iscritti all’albo”, “nominati dal Presidente del Tribunale” secondo “criteri individuati con regolamento adottato previo parere favorevole vincolante del ministro vigilante” e con potere di quest’ultimo di procedere al “commissariamento” dei consigli di disciplina nei casi previsti. 

Come avrebbe potuto l’Avvocatura - così posta in balìa di una normativa secondaria e solo regolamentare, di emanazione governativa e priva di controllo parlamentare, soggetta ad un potere disciplinare affidato a giudici non Avvocati, nominati dai presidenti dei Tribunali con criteri disposti da un regolamento da emanarsi con il parere vincolante del Ministro e dei suoi funzionari - svolgere con la indispensabile piena autonomia ed indipendenza il ruolo che la spetta e le compete nella società e nella giurisdizione e che è garantito dalla Costituzione, è questione che fortunatamente non si è poi posta in concreto.

Non si è posta perché con la normativa introdotta, dopo pochi mesi, con la legge n. 247 del 31.12.2012, approvata dal Parlamento a larga maggioranza ad ottanta anni dalla legge del 1933, che ha ridisegnato in modo organico la professione forense, l’Avvocatura ha potuto superare la delegificazione diversamente impostale dal regolamento di Stromboli di pochi mesi prima.

Una delle maggiori novità riguarda proprio il procedimento disciplinare contenuto nel titolo V della legge, dedicato alla istituzione dei CDD ed alle regole del procedimento: la rilegificazione, l’espressa delega legislativa al solo Consiglio Nazionale Forense per l’emanazione dei relativi regolamenti attuativi (art. 50, commi 2 e 5), senza necessità di pareri ministeriali vincolanti o meno, con la previsione della sola previa audizione, da parte dello stesso Consiglio Nazionale, per la disciplina procedurale, dei Consigli degli Ordini ed il nuovo sistema così introdotto con la legge e con i Regolamenti del Consiglio Nazionale Forense n. 1 e n. 2 del 2014 hanno ripristinato e garantiscono la piena indipendenza ed autonomia dell’Avvocatura, nonché della giurisdizione della quale è soggetto protagonista necessario.

L’elezione da parte dei Consigli degli Ordini dei componenti dei Consigli Distrettuali di Disciplina, scelti con il rispetto della rappresentanza di genere tra gli Avvocati iscritti agli albi che abbiano presentato la loro candidatura, pone al riparo il procedimento da ogni intromissione di soggetti esterni.
Il Consiglio Distrettuale di Disciplina opera con Sezioni composte da cinque membri titolari e tre supplenti: la terzietà del giudicante è assicurata dall’essere le Sezioni costituite sulla base della relativa normativa e composte da Consiglieri provenienti da ordini forensi diversi da quello dell’incolpato, con una specifica normativa per i casi di astensione e ricusazione. 
Allo stesso fine, e a garanzia del contradditorio, è esclusa qualsivoglia contaminazione tra la funzione requirente e quella decisoria, che sono nettamente separate: il Presidente del Consiglio Distrettuale di Disciplina designa tra i componenti della Sezione competente per il procedimento il Consigliere Istruttore, che è responsabile della fase istruttoria pre-procedimentale, nella quale deve provvedere ad ogni accertamento istruttorio per poi presentare alla Sezione le sue richieste: di archiviazione o di approvazione del capo di incolpazione all’esito della fase istruttoria preliminare, di archiviazione o di citazione a giudizio alla conclusione della fase istruttoria. 
La Sezione delibera sulle richieste dell’Istruttore senza la sua presenza e lo stesso è sostituito da uno dei supplenti predesignati. 
A sua volta la Sezione costituita in collegio giudicante, avanti alla quale si celebra il dibattimento una volta deliberata la citazione a giudizio, procede al giudizio senza la presenza dell’Istruttore, anche in questo caso sostituito da uno dei supplenti predesignati.
Il contraddittorio ed il diritto di difesa sono ampiamente assicurati in tutte le varie fasi del procedimento dalla possibilità per l’Avvocato incolpato di essere sentito, di accedere agli atti e di inviare le proprie osservazioni e deduzioni in ogni momento, nonché dalle regole stabilite per il dibattimento e per il regime delle prove, applicandosi in genere per il procedimento, per quanto non specificamente disciplinato, le norme compatibili del codice di procedura penale. 

La legge ha quindi dotato l’Avvocatura degli strumenti idonei e necessari rimettendole un potere regolamentare pieno ed incondizionato.

Nel nuovo quadro normativo nel quale il potere disciplinare è quindi così assegnato ai Consigli Distrettuali di Disciplina non certo irrilevanti sono i compiti affidati ai Consigli degli Ordini ed allo stesso Consiglio Nazionale Forense, che debbono accompagnare, controllare ed assistere l’operato dei Consigli Distrettuali di Disciplina.
Quanto in particolare ai Consigli degli Ordini, è loro riconosciuto un ruolo importante nel procedimento e spetta a loro garantire che i Consigli di Disciplina agiscano in piena indipendenza di giudizio ed autonomia organizzativa ed operativa, provvedendo alle spese di gestione e funzionamento. 
Il ruolo che vede impegnati nel procedimento i Consigli degli Ordini, che a norma dell’art. 51 della stessa legge n. 247/2012 sono anche gli unici referenti dell’autorità giudiziaria - tenuta a dare loro immediata notizia quando nei confronti di un iscritto è esercitata l’azione penale, disposta l’applicazione di misure cautelari o di sicurezza, effettuati perquisizioni o sequestri, emesse sentenze che definiscono il grado di giudizio - si esplica fin dalla fase preliminare con la trasmissione al Consiglio di Disciplina degli esposti, delle denunce e delle notizie di fatti suscettibili di valutazione disciplinare, comunque acquisiti o da loro stessi rilevati, omessa in ogni caso ogni valutazione circa la fondatezza del possibile illecito, anche quando l’infondatezza possa apparire manifesta. 
Il relativo giudizio circa la sussistenza della manifesta infondatezza  è infatti espressamente riservato in capo al plenum del Consiglio Distrettuale di Disciplina. 
Gli Ordini debbono poi essere notiziati circa l’esito delle varie fasi del procedimento (archiviazione, approvazione del capo di incolpazione, decisione all’esito del giudizio), possono proporre impugnazione avanti al Consiglio Nazionale Forense avverso ogni decisione del Consiglio di Disciplina, sia di proscioglimento che di condanna e sono competenti in via esclusiva per l’esecuzione di tutte le sanzioni disciplinari quando la relativa decisione sia divenuta definitiva.

Avverso le decisioni del Consiglio Distrettuale di Disciplina è ammesso ricorso avanti ad apposita sezione disciplinare del Consiglio Nazionale Forense da parte dell’incolpato, nel caso di affermazione di responsabilità, e, per ogni decisione, da parte del Consiglio dell’Ordine presso cui l’incolpato è iscritto, del Procuratore della Repubblica e del Procuratore Generale del distretto della Corte d’Appello ove ha sede il Consiglio Distrettuale di Disciplina che ha emesso la decisione.
Il Consiglio Nazionale Forense decide in sede giurisdizionale e avverso le sue sentenze è possibile ricorrere alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

 


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